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Schiava, Guerriera, Regina
Morgan Rice


Di Corone e di Gloria #1
Morgan Rice si propone con quella che promette di essere un’altra brillante serie, immergendoci in un fantasy pieno di valore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi e a portarci a sostenerli pagina dopo pagina… Raccomandato per la biblioteca permanente di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riferendosi a L’Ascesa dei Draghi) Dall’autrice #1 campione d’incassi Morgan Rice arriva una nuova ampia serie fantasy. La diciassettenne Ceres, una bellissima e povera ragazza della città imperiale di Delo, vive la dura e spietata vita di una persona comune. Di giorno consegna le armi forgiate da suo padre al palazzo e di notte si allena segretamente con i combattenti, desiderando di diventare una guerriera in una terra dove alle donne è vietato lottare. Si trova disperatamente ad essere venduta come schiava. Il diciottenne principe Tano disprezza tutto ciò che la sua famiglia sostiene a corte. Odia il duro trattamento che riservano al popolo, soprattutto la brutale competizione – le Uccisioni – che si svolgono nel cuore della città. Desidera liberarsi dalle costrizioni della sua condizione, ma, essendo un ottimo guerriero, non vede una via d’uscita. Quando Ceres sbalordisce la corte con i suoi poteri nascosti, si trova erroneamente imprigionata e destinata a una vita ancora peggiore di quanto potesse immaginare. Tano, innamorato, deve scegliere se rischiare tutto per lei. Ma, scagliata in un mondo di falsità e segreti letali, Ceres impara velocemente che ci sono coloro che governano e coloro che fungono da loro pedine. E che a volte essere scelti è la cosa peggiore che possa capitare. SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA racconta una storia epica di amore tragico, vendetta, tradimento, ambizione e destino. Piena di personaggi indimenticabili e di scene mozzafiato, ci trasporta in un mondo che non dimenticheremo mai, facendoci innamorare ancora una volta del genere fantasy. Il Libro #2 in DI CORONE E DI GLORIA è di prossima uscita!





Morgan Rice

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA DI CORONE E DI GLORIA–LIBRO 1




TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI ANNALISA LOVAT



Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campione d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri, della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende undici libri (e che continuerà a pubblicarne altri); della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende due libri (e che continuerà a pubblicarne); e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende sei libri; e la nuova serie epica fantasy DI CORONE E DI GLORIA. I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e audiolibro e sono tradotti in 25 lingue.



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Cosa dicono di Morgan Rice

“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

–-Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini… Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

–-The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly



Libri di Morgan Rice




COME FUNZIONA L’ACCIAIO


SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)




DI CORONE E DI GLORIA


SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)




RE E STREGONI


L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)


L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)


IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)


LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)


IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)


LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)




L’ANELLO DELLO STREGONE


UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)


LA MARCIA DEI RE (Libro #2)


DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)


GRIDO D’ONORE (Libro #4)


VOTO DI GLORIA (Libro #5)


UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)


RITO DI SPADE (Libro #7)


CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)


UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)


UN MARE DI SCUDI (Libro #10)


REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)


LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)


LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)


GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)


SOGNO DA MORTALI (Libro #15)


GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)


IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)




LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA


ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)


ARENA DUE (Libro #2)


ARENA TRE (Libro #3)




VAMPIRO, CADUTO


PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)




APPUNTI DI UN VAMPIRO


TRAMUTATA (Libro #1)


AMATA (Libro #2)


TRADITA (Libro #3)


DESTINATA (Libro #4)


DESIDERATA (Libro #5)


PROMESSA (Libro #6)


SPOSA (Libro #7)


TROVATA (Libro #8)


RISORTA (Libro #9)


BRAMATA (Libro #10)


PRESCELTA (Libro #11)


OSSESSIONATA (Libro #12)












Ascoltala seria L’ANELLO DELLO STREGONE in format audiolibro!



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Copyright © 2016 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Nejron Photo, used under license from Shutterstock.com.


“Avvicinati, caro guerrieri, e ti racconterò una storia.
Una storia di lontane battaglie.
Una storia di uomini e valore.
Una storia di corone e di gloria.”

В В В В --Le Cronache Dimenticate di Lysa






CAPITOLO UNO


Ceres correva tra i vicoli secondari di Delo con l’eccitazione che le scorreva nelle vene, sapendo che non poteva permettersi di fare tardi. Il sole stava appena sorgendo ma l’aria afosa e piena di polvere era già soffocante nella vecchia cittadina di pietra. Le gambe le bruciavano, i polmoni le dolevano, ma lei si costrinse a correre più forte e ancora più forte, saltando a un certo punto uno degli innumerevoli ratti che strisciavano fuori dai canali di scolo o dai rifiuti gettati nelle strade. Sentiva già il lontano rombo e il cuore le fremeva per l’anticipazione. Da qualche parte lì davanti, lo sapeva, stava per iniziare il Festival delle Uccisioni.

Lasciandosi trascinare dalle sue mani lungo la parete di pietra e svoltando in uno stretto vicolo, Ceres si guardò alle spalle per accertarsi che i suoi fratelli stessero al passo. Fu sollevata di vedere Nesos subito alle calcagna e Sartes pochi metri più indietro. Nesos aveva diciannove anni ed era quindi solo due cicli del sole più grande di lei, mentre Sartes, il più piccolo, era di quattro cicli più giovane, ormai sul punto di diventare uomo. I due, con i capelli lunghi e biondicci e gli occhi castani, assomigliavano con precisione l’uno all’altro, ma non a lei. Eppure, sebbene Ceres fosse una ragazza, non erano mai riusciti a tenere il passo con lei.

“Sbrigatevi!” gridò Ceres girandosi.

Si udì un altro boato e sebbene lei non fosse mai stata al festival, se lo poteva immaginare nel dettaglio: l’intera città – tutti i tre milioni di cittadini di Delo – che affollavano l’arena in quel giorno del solstizio d’estate. Sarebbe stato fantastico, una cosa mai vista, ma se lei e i suoi fratelli non si fossero sbrigati, non sarebbe rimasto un solo posto libero.

Prendendo velocitГ  Ceres asciugГІ una goccia di sudore dalla fronte e strofinГІ la mano sulla tunica logora color avorio passatale da sua madre. Non aveva mai avuto abiti nuovi. Secondo sua madre, che adorava i suoi fratelli ma sembrava nutrire uno speciale odio e invidia per lei, non se li meritava.

“Aspettate!” gridò Sartes con voce rotta dall’irritazione.

Ceres sorrise.

“Devo portarti in braccio?” gli gridò in risposta.

Sapeva quanto odiava quando lei lo prendeva in giro, ma il suo rimprovero beffardo l’avrebbe motivato a correre più veloce. Ceres non si curava del suo stare al passo: pensava che fosse tenero il modo in cui, a tredici anni, facesse qualsiasi cosa per essere considerato uno come loro. E anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, una buona parte di lei aveva bisogno che lui necessitasse di lei.

Sartes sbuffГІ sonoramente.

“Nostra madre ti ammazzerà quando verrà a sapere che le hai disobbedito un’altra volta,” le gridò.

Aveva ragione. In effetti sarebbe andata così, oppure le avrebbe dato una bella fustigata.

La prima volta che sua madre l’aveva picchiata, quando aveva cinque anni, era stato il momento in cui Ceres aveva perso la sua innocenza. Prima di allora il mondo era stato divertente, bello e gentile. Dopo quel fatto niente era più stato sicuro, e tutto ciò a cui poteva aggrapparsi era la sua speranza per un futuro dove potersene andare da lei. Ora era più grande, eppure anche quel sogno si stava corrodendo nel suo cuore.

Fortunatamente Ceres sapeva che i suoi fratelli non l’avrebbero mai tradita. Le erano leali come lei lo era nei loro confronti.

“Allora è buona cosa che nostra madre non venga mai a saperlo!” rispose.

“Però verrà a saperlo nostro padre!” disse in tono secco Sartes.

Lei ridacchiò. Loro padre già lo sapeva. Avevano fatto un patto: se fosse rimasta alzata fino a tardi per affilare le spade che andavano consegnate a palazzo, sarebbe potuta andare alle Uccisioni. E così aveva fatto.

Ceres raggiunse il muro alla fine del viale e, senza fermarsi, infilò le dita in due fessure e iniziò ad arrampicarsi. Mani e piedi si muovevano con agilità e Ceres salì di quasi dieci metri fino ad arrivare alla cima.

Si mise lì in piedi, respirando affannosamente, e il sole le diede il benvenuto con i suoi raggi luminosi. Lei si coprì gli occhi con una mano.

SussultГІ. Normalmente la CittГ  Vecchia era punteggiata di pochi cittadini, un gruppetto di gatti o cani qua e lГ , ma oggi era assolutamente viva. Brulicava di gente. Non si riusciva neanche a vedere la pavimentazione sotto a quel mare di persone accalcate nella piazza della fontana.

In lontananza l’oceano brillava nel suo colore blu vivido, mentre la torreggiante arena bianca si stagliava come una montagna in mezzo all’intreccio di vie e case da due o tre piani addossate l’una all’altra. Attorno al confine esterno della piazza i mercanti avevano allestito le loro bancarelle, desiderosi di vendere cibo, gioielli o vestiti.

Una folata di vento le soffiò in faccia e l’odore di prelibatezze appena sfornate le entrò nelle narici. Cosa non avrebbe dato per un po’ di cibo che potesse soddisfare quell’assillante sensazione. Si strinse le braccia attorno alla pancia sentendo una fitta di fame. La colazione della mattina era stata data da qualche cucchiaiata di zuppa d’avena molliccia che in qualche modo era riuscita a farle provare ancora più fame di prima. Dato che oggi era il suo diciottesimo compleanno, aveva sperato almeno in un po’ di cibo in più nella ciotola, o almeno un abbraccio, o qualcosa.

Ma nessuno aveva detto una sola parola. Dubitava che addirittura se ne ricordassero.

Una luce le colse l’occhio e Ceres abbassò lo sguardo scorgendo una carrozza dorata che passava in mezzo alla folla come una bolla nel miele, lenta e scintillante. Si accigliò. Nella sua eccitazione non aveva considerato che anche la famiglia reale sarebbe stata presente all’evento. Li disprezzava, odiava la loro superbia, non sopportava che i loro animali fossero meglio nutriti di quelli della maggior parte della gente di Delo. I suoi fratelli speravano che un giorno avrebbero trionfato sul sistema delle classi sociali. Ma Ceres non condivideva il loro ottimismo: se doveva esserci una qualche sorta di uguaglianza nell’Impero, sarebbe successo solo per mezzo di una rivoluzione.

“Lo vedi?” disse Nesos ansimando quando fu salito al suo fianco.

Il cuore di Ceres accelerò al pensiero di lui. Rexus. Anche lei si stava chiedendo se fosse già lì e stava scrutando la folla senza risultato.

Scosse la testa.

“Lì,” indicò Nesos.

Lei seguì il suo dito che puntava verso la fontana, strizzando gli occhi.

Improvvisamente lo vide e non poté contenere un’esplosione di eccitazione. Si sentiva sempre così quando lo vedeva. Eccolo lì, seduto sul bordo della fontana, intento a provare l’arco. Anche da quella distanza poteva vedere le sue spalle e il petto muscoloso, gonfio sotto alla tunica. Aveva pochi anni più di lei, capelli biondi che spiccavano tra quelle teste nere o castane. La sua abbronzatura brillava al sole.

“Aspetta!” gridò una voce.

Ceres si guardГІ alle spalle e alla base del muro vide Sartes che cercava a fatica di arrampicarsi.

“Sbrigati, o ti lasciamo qui!” lo pungolò Nesos.

Ovviamente non avevano intenzione di lasciarsi alle spalle il fratello piГ№ piccolo, anche se doveva imparare a stare al passo. A Delo un momento di debolezza poteva significare la morte.

Nesos si fece passare una mano tra i capelli, prese fiato e guardГІ anche lui la folla.

“Quindi su chi punti i tuoi soldi?” le chiese.

Ceres si girГІ e rise.

“Quali soldi?” gli chiese.

Lui sorrise.

“Se ne avessi,” rispose.

“Brennius,” rispose senza esitare.

Lui sollevГІ un sopracciglio, sorpreso.

“Davvero?” le chiese. “Perché?”

“Non lo so.” Scrollò le spalle. “Solo una sensazione.”

Ma lo sapeva benissimo. Lo sapeva molto meglio dei suoi fratelli e di tutti i ragazzi della città. Ceres aveva un segreto: non l’aveva detto a nessuno, ma di tanto in tanto si vestiva da ragazzo e si allenava al palazzo. Un decreto reale vietava alle ragazze – pena la morte – di imparare come si combatteva, ma i paesani di sesso maschile erano invece i benvenuti, in cambio di uguale quantità di lavoro nelle stalle del palazzo, un lavoro che lei faceva con gioia.

Aveva guardato Brennius ed era rimasta impressionata dal modo in cui combatteva. Non era il piГ№ robusto dei combattenti, ma le sue mosse erano calcolate con precisione.

“Nessuna possibilità,” rispose Nesos. “Sarà Stefano.”

Lei scosse la testa.

“Nel giro dei primi dieci minuti Stefano sarà morto,” disse con tono inespressivo.

Stefano era la scelta ovvia, il combattente piГ№ grosso, e probabilmente piГ№ forte, ma non era un calcolatore come Brennius o come alcuni degli altri guerrieri che lei aveva guardato.

Nesos rise sonoramente.

“Se va davvero così ti darò la mia spada nuova.”

Lei guardò la spada che aveva alla vita. Nesos non aveva idea di quanto Ceres fosse stata gelosa quando aveva ricevuto quel capolavoro d’arma come regalo di compleanno da parte di sua madre tre anni prima. La sua spada era un vecchio scarto che suo padre aveva buttato nel mucchio delle cose da riciclare. Oh, quali cosa sarebbe stata capace di fare con una spada come quella di Nesos.

“Ti farò mantenere la parola data, lo sai,” disse Ceres sorridendo, anche se in realtà non gliel’avrebbe mai portata via.

“Non mi aspetterei niente di meno,” disse lui ridacchiando.

Lei incrociГІ le braccia sul petto mentre un pensiero buio le attraversava la mente.

“Nostra madre non lo permetterebbe,” disse.

“Ma nostro padre sì,” disse. “È molto fiero di te, lo sai.”

Il commento gentile di Nesos la colse impreparata e non sapeva esattamente come reagire, quindi abbassГІ gli occhi. Amava suo padre e lui amava lei, lo sapeva. Ma per qualche motivo il volto di sua madre le compariva sempre davanti. Tutto ciГІ che avrebbe desiderato era che sua madre la accettasse e le volesse bene come ai suoi fratelli. Ma per quanto ci provasse, Ceres sentiva di non essere mai abbastanza ai suoi occhi.

Sartes sbuffò arrivando in cima al muro dietro di loro. Era ancora più basso di una testa rispetto a Ceres ed era magrolino come un grillo, ma lei era convinta che da un giorno all’altro sarebbe fiorito come un germoglio di bambù. Era successo così a Nesos. Ora era pieno di muscoli ed era alto più di un metro e novanta.

“E tu?” chiese Ceres a Sartes. “Chi pensi vincerà?”

“Io sono con te. Brennius.”

Lei sorrise e gli scompigliГІ in capelli. Lui ripeteva sempre quello che diceva lei.

Si udì un altro rombo, la folla si infittì e Ceres provò un senso di urgenza.

“Andiamo,” disse. “Non c’è tempo da perdere.”

Senza aspettare Ceres scese dal muro e si mise a correre appena toccata terra. Tenendo d’occhio la fontana, si fece strada attraverso la piazza, desiderosa di raggiungere Rexus.

Lui si girò e sgranò gli occhi per la gioia quando la vide. Lei gli si buttò addosso e sentì le sue braccia stringersi attorno alla vita mentre strofinava la guancia ruvida contro la sua.

“Ciri,” disse con voce bassa e roca.

Un brivido le scorse lungo la schiena quando si girГІ e si trovГІ davanti gli occhi blu cobalto di Rexus. Alto un metro e ottantacinque era ormai quasi una testa piГ№ di lei, con capelli biondi e spettinati che incorniciavano il viso a forma di cuore. Sapeva di sapone e aria aperta. Cavolo, era bello rivederlo. Anche se sapeva cavarsela da sГ© quasi in qualsiasi situazione, la sua presenza le donava una sensazione di calma.

Ceres si alzò in punta di piedi e intrecciò le braccia attorno al suo collo. Non l’aveva mai visto come più che un amico fino a quando l’aveva sentito parlare della rivoluzione e dell’esercito sotterraneo di cui faceva parte. “Combatteremo per liberarci dal giogo dell’oppressione,” le aveva detto anni prima. Aveva parlato con una tale passione della ribellione che per un momento Ceres aveva davvero creduto che fosse possibile eliminare la famiglia reale.

“Com’è andata la caccia?” gli chiese con un sorriso, sapendo che era stato via per giorni.

“Mi è mancato il tuo sorriso.” Le accarezzò i lunghi capelli dorati. “E i tuoi occhi color smeraldo.”

Anche a lei era mancato, ma non osГІ dirlo. Aveva troppa paura di perdere la loro amicizia se qualcosa fosse successo tra loro.

“Rexus,” disse Nesos raggiungendoli e stringendogli un braccio, subito seguito da Sartes.

“Nesos,” lo salutò lui con voce profonda e autoritaria. “Abbiamo poco tempo se vogliamo entrare,” aggiunse facendo cenno agli altri.

Si affrettarono tutti mescolandosi con la folla che si stava dirigendo verso l’arena. Ovunque c’erano soldati dell’Impero che spingevano la gente avanti, a volte con mazze e fruste. Più vicini andavano alla strada che conduceva all’arena e più la folla si faceva fitta.

All’improvviso Ceres udì del baccano provenire da una delle bancarelle e istintivamente si girò verso il rumore. Vide che si era aperto un generoso spazio attorno a un ragazzino che era ora affiancato da due soldati dell’Impero e da un mercante. Un paio di spettatori se ne andarono mentre altri si misero in cerchio a guardare.

Ceres corse avanti e vide uno dei soldati che strappava una mela dalle mani del ragazzino e lo scuoteva violentemente tenendolo per un braccio.

“Ladro!” ringhiò il soldato.

“Pietà, per favore!” gridò il bambino con le lacrime che scorrevano lungo le guance sporche e scavate. “Avevo… così tanta fame!”

Ceres si sentì il cuore esplodere per la compassione, dato che lei stessa aveva fame e sapeva che ai soldati non mancava la crudeltà.

“Lasciate andare il ragazzo,” disse il mercante con calma facendo un gesto con la mano. Il suo anello d’oro brillò al sole. “Posso permettermi di dargli una mela. Ne ho centinaia.” Ridacchiò un poco, come a voler alleggerire la situazione.

Ma la folla che si era raccolta là attorno fece silenzio mentre i soldati si giravano per affrontare il mercante con le armature che brillavano alla luce e sferragliavano. Il cuore di Ceres sprofondò per il mercante: sapeva che nessuno doveva mai osare affrontare l’Impero.

Un soldato si fece avanti minacciosamente verso l’uomo.

“Difendi un criminale?”

Il mercante spostò lo sguardo dal soldato al ragazzino, ora apparentemente insicuro. Il soldato si girò e colpì il bambino al viso provocando uno scricchiolio che fece rabbrividire Ceres.

Il ragazzino cadde al suolo con un tonfo mentre la folla sussultava.

Indicando il mercante il soldato disse: “Per provare la tua lealtà all’Impero, terrai fermo il bambino mentre lo fustighiamo.”

Gli occhi del mercante si fecero duri, la fronte sudata. Con sorpresa di Ceres, l’uomo tenne loro testa.

“No,” rispose.

Il secondo soldato fece due passi minacciosi verso di lui e portò la mano sull’elsa della spada.

“Fallo o perderai la testa e bruceremo la tua bancarella,” disse il soldato.

Il volto rotondo del mercante si afflosciò e Ceres capì che era sconfitto.

Lentamente l’uomo si avvicinò al ragazzino e gli prese le braccia inginocchiandosi davanti a lui.

“Ti prego, perdonami,” disse con le lacrime che gli facevano luccicare gli occhi.

Il bambino piagnucolò e poi iniziò a gridare cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo.

Ceres vide che il ragazzino tremava. Voleva continuare ad andare verso l’arena, evitare di vedere quella scena, ma i suoi piedi rimasero fermi sul posto, in mezzo alla piazza, con gli occhi incollati a quella brutalità.

Il primo soldato strappГІ la tunica del ragazzino mentre il secondo faceva schioccare una frusta sopra la testa. La maggior parte degli astanti incitava i soldati ad andare avanti, mentre un pochi mormoravano e si allontanavano a testa bassa.

Nessuno si mise a difendere il ladro.

Con un’espressione avida e quasi folle, il soldato fece schioccare ancora la frusta contro la schiena del ragazzo, facendolo gridare di dolore. Il sangue sgorgò dalla ferite fresche. Ripetutamente il soldato lo frustò fino a che la testa del bambino rimase reclinata indietro e smise di gridare.

Ceres provГІ la forte urgenza di scattare in avanti e salvarlo. Ma sapeva che fare una cosa del genere avrebbe significato la morte per lei, e la morte di tutti i suoi cari. Rimase a spalle basse, sentendosi inerme e sconfitta. Dentro di sГ© decise che un giorno si sarebbe vendicata.

Tirò Sartes verso di lei e gli coprì gli occhi, disperatamente desiderosa di proteggerlo, di concedergli ancora alcuni anni di innocenza, anche se non c’era innocenza da vivere in quella terra. In quanto uomo doveva vedere quegli episodi di crudeltà, non solo per abituarvisi, ma anche per essere un giorno un forte combattente nella ribellione.

I soldati strapparono il ragazzino dalle mani del mercante e buttarono il corpo quasi privo di vita su un carro di legno. Il mercante si coprì il volto con le mani e singhiozzò.

Nel giro di pochi secondi il carro era partito e lo spazio precedentemente aperto era di nuovo pieno di gente che andava da una parte e dall’altra della piazza come se niente fosse successo.

Ceres provò un crescente senso di nausea crescerle dentro. Era ingiusto. In quel momento avrebbe potuto indicare cinque o sei ladruncoli – uomini o donne che avevano perfezionato la loro arte così bene che neanche i soldati dell’Impero potevano beccarli. La vita di quel povero ragazzino era ora rovinata a causa della sua mancanza di abilità. Se venivano presi, i ladri – giovani o adulti – venivano menomati o peggio, a seconda dell’umore del giudice quel giorno. Se fosse stato fortunato gli avrebbero risparmiato la vita e sarebbe stato condannato a lavorare per tutta la vita nelle miniere d’oro. Ceres avrebbe preferito morire piuttosto che dover sopportare di restare imprigionata a quel modo.

Continuarono lungo la strada con l’umore rovinato, spalla a spalla con le altre persone mentre il calore saliva e si faceva già quasi insopportabile.

Una carrozza dorata si portò vicino a loro, costringendo tutti a farsi da parte, spingendo la gente contro le case che si trovavano ai lati. Spinta bruscamente, Ceres sollevò lo sguardo e vide tre ragazze con colorati abiti di seta, forcine d’oro e preziosi gioielli che adornavano le loro elaborate acconciature. Una di loro, ridendo, tirò una monetina sulla strada. Una manciata di paesani si fermarono e si inginocchiarono a terra a caccia di quel pezzo di metallo che avrebbe dato da mangiare a una famiglia intera per un mese.

Ceres non si fermava mai a raccogliere l’elemosina. Sarebbe morta di fame piuttosto che accettare un dono da gente come quella.

Vide un giovane che riusciva a prendere la moneta e un uomo più anziano che lo buttava a terra e gli stringeva una grossa mano attorno al collo. Con l’altra mano l’uomo più vecchio riuscì a prendere la moneta dalla mano del giovane.

Le ragazzine risero indicandoli prima che la carrozza continuasse a farsi strada tra la folla.

Ceres provГІ un profondo disgusto.

“Nel prossimo futuro le disuguaglianze svaniranno per sempre,” disse Rexus. “Me ne occuperò io.”

Sentendolo parlare Ceres si sentì meglio. Un giorno avrebbe combattuto al suo fianco e insieme ai suoi fratelli nella ribellione.

Man mano che si avvicinavano all’arena le strade si facevano più larghe e Ceres ebbe la sensazione di poter prendere fiato. L’aria vibrava. Sentiva di poter saltare per aria per l’eccitazione.

PassГІ attraverso uno delle decine di ingressi ad arco e sollevГІ lo sguardo.

Migliaia e migliaia di abitanti si trovavano all’interno della magnifica arena. La struttura ovale era crollata dal lato settentrionale e la maggior parte delle tende parasole rosse erano strappate e fornivano scarsa protezione dal sole soffocante. Bestie selvagge ringhiavano dietro a cancelli di ferro e porte e Ceres vide i combattenti che si trovavano già pronti dietro ai cancelli.

SussultГІ osservando tutto con meraviglia.

Prima di capirlo, sollevò lo sguardo e si rese conto di essere rimasta indietro rispetto a Rexus e ai suoi fratelli. Corse in avanti per raggiungerli, ma non appena lo fece quattro uomini robusti già l’avevano circondata. Sentì l’odore di alcool e pesce marcio, oltre all’odore dei loro corpi man mano che si facevano più vicini, voltandosi a guardarla con i loro orrendi sorrisi che svelavano denti gialli e marci.

“Tu vieni con noi, bellezza,” disse uno di loro mentre strategicamente tutti e quattro si chiudevano attorno a lei.

Il cuore di Ceres batteva forte. GuardГІ in avanti alla ricerca degli altri, ma erano giГ  persi nella folla che si faceva sempre piГ№ folta.

AffrontГІ allora gli uomini, cercando di mostrare il suo volto piГ№ coraggioso.

“Lasciatemi stare, altrimenti…”

Quelli scoppiarono a ridere.

“Altrimenti cosa?” la derise uno. “Una poppante come te contro noi quattro?”

“Ti potremmo portare via da qui scalciante e urlante e nessuno direbbe nulla,” aggiunse un altro.

Ed era vero. Con la coda dell’occhio Ceres guardò la gente che passava fingendo di non notare come quegli uomini la stessero minacciando.

Improvvisamente il volto del capo si fece serio e con una rapida mossa le afferrГІ le braccia e la tirГІ verso di sГ©. Ceres sapeva che avrebbero potuto trascinarla via senza che nessuno la rivedesse mai piГ№, e questo pensiero la terrorizzava piГ№ di ogni altra cosa.

Cercando di ignorare il cuore che batteva, Ceres ruotò su se stessa strappando il braccio dalla stretta del bruto. Gli altri uomini se la spassavano divertiti, ma quando lei premette la base della mano contro il naso dell’uomo spingendogli indietro la testa, fecero silenzio.

L’uomo si mise le mani luride sul naso e sbuffò.

Ceres non si fermГІ. Sapendo che quella era la sua possibilitГ , gli diede un calcio nello stomaco, ricordando i suoi allenamenti, e lui si piegГІ in avanti.

Subito perГІ gli altri tre le furono addosso, le grosse mani che la afferravano e la tiravano via.

Immediatamente si fermarono. Ceres sollevГІ lo sguardo e fu sollevata di veder apparire Rexus che dava un pugno in faccia a uno dei bruti e lo mandava al tappeto.

Poi apparve Nesos che ne afferrГІ un altro dandogli una ginocchiata nello stomaco e poi un calcio, spedendolo in terra e lasciandolo nella terra rossa.

Il quarto uomo si avventГІ contro Ceres, ma proprio mentre stava per attaccare, lei si abbassГІ, ruotГІ e gli diede un calcio nella schiena facendolo volare e andare a sbattere con la testa contro una colonna.

Ceres rimase ferma a guardare la scena, respirando affannosamente.

Rexus le mise una mano sulla spalla. “Stai bene?”

Il cuore di Ceres le stava ancora battendo all’impazzata, ma una sensazione di orgoglio presto sostituì quella di paura. Aveva fatto le cose per bene.

Annuì e Rexus le mise un braccio attorno alle spalle, sorridendo mentre procedevano.

“Cosa c’è?” chiese Ceres.

“Quando ho visto quello che stava succedendo, avrei voluto trafiggerli uno per uno con la mia spada. Ma poi ho visto come ti difendevi.” Scosse la testa e ridacchiò. “Non se l’aspettavano.”

Lei si sentì avvampare in viso. Avrebbe voluto dire che non aveva paura, ma la verità era che ne aveva avuta.

“Ero nervosa,” ammise.

“Ciri nervosa? Mai.” Le diede un bacio sopra alla testa e continuarono ad addentrarsi nell’arena.

Trovarono alcuni posti al livello del suolo e si sedettero, Ceres emozionata che non fosse troppo tardi e gettandosi alle spalle tutti gli eventi del giorno, lasciandosi travolgere dall’entusiasmo della folla esultante.

“Li vedi?”

Ceres seguì il dito di Rexus e vide una decina circa di adolescenti che sedevano a un chiosco sorseggiando vino da dei calici d’argento. Non aveva mai visto degli abiti così belli, così tanto cibo sullo stesso tavolo, così tanti gioielli scintillanti tutti in una volta. Nessuno di loro aveva le guance scavate o la pancia incavata.

“Cosa stanno facendo?” chiese quando vide uno di loro che raccoglieva delle monete in una ciotola d’oro.

“Ciascuno di loro possiede un combattente,” disse Rexus, “e scommettono su chi vincerà.”

Ceres ridacchiò. Quello era solo un gioco per loro. Ovviamente quei ragazzini viziati non erano interessati ai guerrieri o alle tecniche di combattimento. Volevano solo vedere se il loro combattente avrebbe vinto. Ma per Ceres quell’evento era qualcosa che riguardava strettamente l’onore, il coraggio e l’abilità.

Gli stendardi regali vennero levati, le trombe suonarono e quando i cancelli di ferro vennero aperti da ogni estremità dell’arena, un combattente alla volta tutti uscirono marciando dai buchi neri con le armature di ferro e pelle che brillavano al sole sprigionando meravigliosi bagliori.

La folla esultò mentre i lottatori marciavano nell’arena e Ceres si alzò in piedi insieme a loro applaudendo. I guerrieri si misero in cerchio con i volti rivolti verso l’esterno, le asce, spade, lance, scudi, tridenti, fruste e altre armi sollevate verso il cielo.

“Ave, re Claudio,” gridarono.

Le trombe suonarono ancora e la carrozza dorata di re Claudio e regina Atena entrò velocissima nell’arena da uno degli ingressi. Vicino ad essa c’era una carrozza con il principe Avilius e la principessa Floriana e, dopo di loro, un intero seguito di carrozze che trasportavano membri della famiglia reale. Ogni carrozza era trainata da due cavalli bianchi come la neve, adornati con preziosi gioielli e oro.

Quando Ceres scorse il principe Tano in mezzo a loro rimase colpita dal cipiglio del giovane diciannovenne. Di tanto in tanto, quando consegnava spade per suo padre, l’aveva visto parlare con i combattenti a palazzo, e aveva sempre quell’aspra espressione di superiorità. Nel suo fisico non mancava niente di ciò che servisse a un guerriero e lo si poteva quasi scambiare per uno di loro: le braccia piene di muscoli, la vita stretta e soda, le gambe dure come tronchi d’albero. Eppure la faceva infuriare il modo in cui non mostrava il minimo rispetto né passione per la sua posizione.

Mentre i reali sfilavano per andare a prendere posto sul palco, le trombe suonarono di nuovo, segnalando che le Uccisioni stavano per avere inizio.

La folla gridГІ mentre tutti meno due combattenti svanivano tornando dietro ai cancelli di ferro.

Ceres riconobbe in uno di loro Stefano, ma non riuscì a distinguere l’altro bruto che indossava solo un elmo con visiera e un perizoma legato a una cintura in pelle. Forse veniva da lontano ed era arrivato lì apposta per battersi. La sua pelle oliata aveva il colore del terreno fertile e i capelli erano neri come la notte più buia. Attraverso le fessure della visiera Ceres poté vedere i suoi occhi decisi e capì subito che Stefano non sarebbe vissuto neanche un’ora ancora.

“Non preoccuparti,” disse Ceres guardando Nesos. “Te la lascio tenere la tua spada.”

“Non è ancora stato sconfitto,” rispose Nesos facendo un sorrisino. “Stefano non sarebbe il favorito da tutti se non fosse superiore.”

Quando Stefano sollevГІ il suo tridente e lo scudo, la folla fece silenzio.

“Stefano!” gridò uno dei giovani dabbene dalla bancarella sollevando un pugno chiuso. “Potere e coraggio!”

Stefano annuì rivolto al giovane mentre dalla folla si levava un boato di approvazione. Poi si lanciò contro lo straniero con tutta forza. L’avversario si spostò dal posto rapido come un lampo, ruotò su se stesso e cercò di colpire Stefano con la spada, mancandolo di un centimetro appena.

Ceres fece una smorfia. Con riflessi come quelli, Stefano non sarebbe durato a lungo.

Colpendo lo scudo di Stefano più e più volte, lo straniero ringhiava e Stefano arretrava. Disperato, alla fine spinse il bordo dello scudo contro la faccia dell’avversario, lanciando in aria uno spruzzo di sangue mentre l’uomo cadeva.

Ceres la considerò una mossa piuttosto bella. Forse Stefano aveva migliorato la tecnica da quando l’aveva visto allenarsi l’ultima volta.

“Stefano! Stefano! Stefano!” gridavano gli spettatori.

Stefano si trovava vicino ai piedi del guerriero ferito, ma proprio quando stava per trafiggerlo con il tridente, lo straniero sollevГІ le gambe e gli diede un calcio facendolo cadere indietro, di schiena. Entrambi saltarono in piedi veloci come gatti e si affrontarono di nuovo.

Guardandosi negli occhi iniziarono a muoversi in cerchio, il pericolo palpabile nell’aria.

Lo straniero ringhiò e sollevò la spada in alto correndo verso Stefano. Stefano si spostò rapidamente di lato e lo colpì alla coscia. In cambio lo straniero fece roteare la spada e lo ferì a un braccio.

Entrambi i guerrieri sbuffavano di dolore, ma era come se le ferite alimentassero la loro furia invece di rallentarli. Lo straniero si tolse l’elmo e lo gettò a terra. Il suo mento ricoperto di barba nera era insanguinato, l’occhio destro gonfio, ma l’espressione fece pensare a Ceres che avesse smesso di giocare con Stefano e che ora avesse intenzione di ucciderlo. Quanto rapidamente sarebbe riuscito a farlo fuori?

Stefano si lanciò contro lo straniero e Ceres sussultò mentre il suo tridente andava a sbattere contro la spade dell’avversario. Occhi negli occhi i guerrieri si sforzavano l’uno contro l’altro, sbuffando, ansimando, spingendo, le vene della fronte sporgenti e i muscoli in tensione sotto alla pelle sudata.

Lo straniero si abbassò e si districò dal punto di impasse. Inaspettatamente ruotò come un tornado fendendo l’aria con la sua spada decapitando Stefano.

Dopo qualche respiro lo straniero sollevГІ le braccia in aria, trionfante.

Per un secondo la folla fece assoluto silenzio. Addirittura Ceres. GuardГІ il ragazzo proprietario di Stefano. Aveva la bocca spalancata per lo stupore e le sopracciglia aggrottate per la rabbia.

Lanciò il suo calice d’argento nell’arena e corse fuori dal chiosco. La morte è la cosa che rende tutti uguali, pensò Ceres soffocando un sorriso.

“Augusto!” gridò un uomo tra la folla. “Augusto! Augusto!”

Uno dopo l’altro gli spettatori si unirono a lui, fino a che l’intera arena si trovò a cantare il nome del vincitore. Lo straniero si inchinò dinnanzi a re Claudio e poi altri tre guerrieri sopraggiunsero di corsa dai cancelli, sostituendolo.

Uno dopo l’altro i combattimenti si svolsero man mano che il giorno avanzava e Ceres guardava con gli occhi spalancati. Non riusciva a decidere se odiava le Uccisioni o se le adorava. Da un lato le piaceva osservare la strategia, l’abilità e il coraggio dei contendenti, ma dall’altro odiava come i guerriero non fossero altro che pedine nelle mani dei ricchi.

Quando arrivò l’ultimo combattimento del primo round, Brennius e un altro guerriero si batterono proprio vicino a dove sedevano Ceres, Rexus e i suoi fratelli. Si facevano sempre più vicini e le loro spade facevano sprizzare scintille. Era emozionante.

Ceres guardГІ Sartes chinarsi sul parapetto, gli occhi inchiodati sul combattimento.

“Tirati su!” gli gridò.

Ma prima che potesse risponderle, tutt’a un tratto un omnigatto balzò da una botola nel terreno dall’altra parte dell’arena. L’enorme bestia si leccava le zanne e affondava gli artigli nella terra rossa dirigendosi verso i guerrieri. I combattenti non avevano ancora visto l’animale e nell’arena tutti trattenevano il fiato.

“Brennius è morto,” mormorò Nesos.

“Sartes!” gridò ancora Ceres. Ti ho detto di tirarti …”

Non potГ© terminare la frase. Proprio in quel momento la pietra sotto alle mani di Sartes si mosse e prima che chiunque potesse reagire, lui cadde giГ№, oltre il parapetto, cadendo nella fossa con un tonfo.

“Sartes!” gridò Ceres inorridita scattando in piedi.

Abbassò lo sguardo e vide Sartes tre metri più sotto che si metteva a sedere e si appoggiava al muro. Aveva il labbro inferiore che tremava, ma non versò una sola lacrima. Non disse una parola. Tenendosi il braccio sollevò lo sguardo verso l’alto mostrando un’espressione di totale agonia.

Vederlo lГ  sotto era piГ№ di quanto Ceres potesse sopportare. Senza pensare, sguainГІ la spada di Nesos e balzГІ oltre il parapetto, saltando nella fossa e atterrando proprio davanti al fratello piГ№ piccolo.

“Ceres!” gridò Rexus.

Ceres sollevГІ lo sguardo e vide le guardie che trascinavano via Rexus e Nesos prima che potessero seguirla.

Rimase nella fossa, sopraffatta dalla sensazione surreale di trovarsi là sotto insieme ai combattenti, nell’arena. Voleva portare Sartes fuori di lì, ma non c’era tempo. Quindi si portò davanti a lui, determinata a proteggerlo mentre l’omnigatto le ringhiava. Avanzava stando schiacciato a terra, i malvagi occhi gialli fissi su di lei, e Ceres percepì il pericolo.

SollevГІ la spada di Nesos con entrambe le mani e la tenne stretta.

“Scappa ragazza!” gridò Brennius.

Ma era troppo tardi. L’omnigatto stava per attaccarla e ora era a pochi metri da lei. Ceres si portò più vicina a Sartes e subito prima che l’animale attaccasse Brennius si spostò di lato e gli tagliò un orecchio.

L’omnigatto si alzò sulle zampe posteriori e ruggì, strappando con gli artigli un pezzo di parete alle spalle di Ceres mentre il sangue viola gli macchiava la pelliccia.

La folla esultГІ.

Il secondo combattente si avvicinГІ, ma prima di poter ferire la bestia in qualsiasi modo, quella sollevГІ una zampa e gli tagliГІ la gola con gli artigli. Tenendosi le mani attorno al collo, il guerriero cadde a terra con il sangue che gli sgorgava tra le dita.

Assetata di sangue, la folla esultГІ.

Ringhiando l’omnigatto colpì Ceres così forte da farla volare in aria e mandandola a sbattere a terra. Nell’impatto la spada le scappò di mano e cadde diversi metri più in là.

Ceres rimase ferma a terra, con i polmoni che si rifiutavano di aprirsi. Non riuscendo a respirare e con la testa che le girava, cercГІ di mettersi carponi, ma subito ricadde al suolo.

Stesa a terra senza fiato, con la faccia schiacciata contro la sabbia ruvida, vide l’omnigatto che si dirigeva verso Sartes. Vedendo il fratello in una condizione tanto indifesa, si sentì ardere dentro. Si sforzò di fare un respiro e vide con estrema chiarezza cosa doveva fare per salvare il fratello.

L’energia le scorreva dentro come un fiume in piena dandole un potere immediato. Si alzò in piedi, raccolse la spada e si scagliò contro la bestia così veloce da essere convinta di volare.

L’animale era a dieci metri da lei adesso. Otto. Sei. Quattro.

Ceres strinse i denti e si buttГІ sulla schiena della bestia, affondando le dita nella sua pelliccia ispida, intenzionata a distrarla da suo fratello.

L’omnigatto si alzò sulle zampe posteriori e scosse la parte superiore del corpo sbattendo Ceres da una parte e dall’altra. Ma la sua presa d’acciaio e la sua determinazione erano più forti dei tentativi dell’animale di farla cadere.

Mentre la creatura si riabbassava su quattro zampe, Ceres colse l’opportunità a balzo. Sollevò la spada in aria e la conficcò nel collo della bestia.

L’animale ruggì e si alzò di nuovo sulle zampe posteriori mentre la folla gridava.

Portando una zampa indietro nel tentativo di afferrare Ceres, la creatura le graffiò la schiena con gli artigli e Ceres gridò di dolore, le unghie piantate come coltelli nella carne. L’omnigatto la afferrò e la scagliò contro la parete, facendola atterrare a diversi metri da Sartes.

“Ceres!” gridò Sartes.

Con le orecchie che risuonavano, Ceres si sforzò di mettersi a sedere. La nuca le pulsava e un liquido caldo le scorreva lungo il collo. Non c’era tempo per appurare quanto grave fosse la ferita. L’omnigatto stava per riattaccare.

Quando la bestia piombò su di lei, Ceres non aveva alternative. Senza neanche pensare alzò istintivamente la mano e la tenne tesa davanti a sé. Pensò che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto in vita.

Proprio mentre l’omnigatto saltava, Ceres ebbe la sensazione di avere una palla di fuoco nel petto e improvvisamente la sentì scaturire dalla mano.

A mezz’aria la bestia improvvisamente si afflosciò.

Piombò al suolo rimanendo immobile al di sopra delle sue gambe. Aspettandosi quasi con certezza che l’animale ritornasse in vita e la finisse, Ceres trattenne il fiato mentre la guardava lì stesa.

Ma la creatura non si mosse.

Confusa Ceres si guardò il palmo della mano. Non avendo visto ciò che ne era uscito, la folla aveva probabilmente pensato che la bestia fosse morta perché lei l’aveva colpita prima con la spada. Ma lei aveva capito. Una qualche misteriosa forza si era sprigionata dalla sua mano e aveva ucciso la bestia sul colpo. Che forza era? Non le era mai successo niente di simile e non sapeva esattamente come comportarsi.

Chi era lei per avere quel potere?

Spaventata, lasciГІ ricadere la mano a terra.

Sollevò esitante gli occhi e vide che nell’arena era calato il silenzio.

E lei non poteva che chiedersi: l’avevano visto anche loro?




CAPITOLO DUE


Per un secondo che parve dilungarsi all’infinito, Ceres sentì tutti gli occhi puntati su di lei mentre stava seduta lì, intontita dal dolore ed incredula. Più delle conseguenze, temeva il potere soprannaturale che stava celato dentro di lei e che aveva ucciso l’omnigatto. Più di tutta la gente che la circondava, temeva proprio se stessa, una se stessa che non riconosceva più.

Improvvisamente la folla, messa a tacere dallo stupore, gridГІ. Le ci volle un momento per rendersi conto che stavano esultando per lei.

Una voce si levГІ al di sopra delle grida.

“Ceres!” gridò Sartes accanto a lei. “Ti sei fatta male?”

Lei si girò verso il fratello che si trovava ancora lì sul suolo dell’arena, e aprì la bocca per parlare. Ma non ne venne fuori una sola parola. Era senza fiato e si sentiva intontita. Aveva visto ciò che era veramente successo? Non sapeva gli altri, ma da quella distanza sarebbe stato quasi un miracolo se ci fosse riuscito.

Ceres udì dei passi e improvvisamente due forti mani la tirarono in piedi.

“Esci adesso!” ringhiò Brennius spingendola verso il cancello aperto che stava alla sua sinistra.

I graffi degli artigli sulla schiena bruciavano, ma Ceres si sforzò di tornare alla realtà e afferrò Sartes tirandolo in piedi. Insieme sfrecciarono verso l’uscita, cercando di scappare dalle grida della folla.

Raggiunsero presto la buia e soffocante galleria all’interno della quale trovarono decine di combattenti che aspettavano il loro turno per avere qualche minuto di gloria nell’arena. Alcuni stavano seduti su delle panche immersi nei loro pensieri, altri stiravano i muscoli e piegavano le braccia mentre camminavano avanti e indietro. Altri ancora stavano preparando le armi per l’imminente bagno di sangue. Tutti, avendo appena visto il combattimento, sollevarono lo sguardo e la fissarono con la curiosità negli occhi.

Ceres si affrettò lungo corridoi sotterranei illuminati da torce che donavano ai mattoni grigi un caldo bagliore, passando vicino a ogni genere di arma appesa alle pareti. Cercò di ignorare il dolore alla schiena, ma era difficile farlo quando a ogni passo il ruvido tessuto della sua tunica sfregava contro le ferite aperte. Gli artigli dell’omnigatto erano stati come dei pugnali, ma sembrava ancora peggio adesso mentre ogni taglio pulsava.

“Hai la schiena che sanguina,” disse Sartes con voce tremante.

“Va tutto bene. Dobbiamo trovare Nesos e Rexus. Come va il tuo braccio?”

“Fa male.”

Quando raggiunsero l’uscita, la porta si spalancò e due soldati dell’Impero si portarono davanti a loro.

“Sartes!”

Prima che potesse reagire un soldato afferrò suo fratello e un altro prese lei. Non valeva la pena resistere. L’altro soldato se la tirò in spalla come se fosse un sacco di grano e la portò via. Temendo che l’avessero arrestata lo prese a pugni sulla schiena, ma senza risultati.

Non appena furono fuori dall’arena, il soldato la gettò a terra e Sartes le atterrò accanto. Alcuni spettatori formarono un semicerchio attorno a lei, sbirciando, come se fossero assetati del suo sangue.

“Rientra nell’arena,” ringhiò il soldato, “e verrai impiccata.”

I soldati, con sua sorpresa, si girarono senza aggiungere una parola e sparirono nella folla.

“Ceres!” gridò una voce nel mormorio della folla.

Ceres sollevГІ lo sguardo e con sollievo vide Nesos e Rexus che si dirigevano verso di loro. Quando Rexus la abbracciГІ, lei sussultГІ. La guardГІ con occhi pieni di preoccupazione.

“Va tutto bene” gli disse lei.

Mentre la folla usciva dall’arena, Ceres e gli altri si mescolarono alla gente riversandosi rapidamente nelle strade, non desiderando fare altri incontri. Camminando verso la piazza della fontana, Ceres ripensò nella sua mente a ciò che era successo. Era ancora frastornata. Notò le occhiate che i suoi fratelli le lanciavano e si chiese cosa stessero pensando. Avevano visto i suoi poteri? Probabilmente no. L’omnigatto era troppo vicino. Ma allo stesso tempo la guardavano con un nuovo senso di rispetto. Lei voleva più di ogni altra cosa dire loro cos’era successo. Ma sapeva che non poteva. Non ne era sicura neppure lei.

C’erano troppe parole non dette tra loro e ora, nel mezzo di quella fitta folla, non era il tempo di tirarle fuori. Prima di tutto dovevano tornare a casa sani e salvi.

Le strade si fecero meno affollate man mano che si allontanavano dall’arena. Camminando accanto a lei Rexus le prese una mano e intrecciò le dita con le sue.

“Sono fiero di te,” le disse. “Hai salvato la vita di tuo fratello. Non sono certo di quante sorelle lo farebbero.”

Sorrise con gli occhi pieni di compassione.

“Quelle ferite sembrano profonde,” sottolineò guardandola di nuovo.

“Va tutto bene,” mormorò lei.

Era una bugia. Non era del tutto certa che sarebbe stata bene o che sarebbe riuscita addirittura a farcela ad arrivare a casa. Si sentiva piuttosto intontita per la perdita di sangue e lo stomaco vuoto certo non era di aiuto, come neanche il sole che le importunava la schiena facendola sudare copiosamente.

Finalmente raggiunsero la piazza della fontana. Non appena passarono accanto alle bancarelle, un mercante li seguì offrendo loro un grosso cesto di cibo a metà prezzo.

Sartes sorrise da un orecchio all’altro – cosa che parve a Ceres piuttosto strana – e poi porse un paio di monete di rame con il braccio buono.

“Penso di doverti del cibo,” le disse.

Ceres sussultò scioccata. “E quelle dove le hai prese?”

“Quella ragazza ricca nella carrozza dorata ha buttato fuori due monete, non una, ma tutti erano concentrati sulla zuffa fra i due uomini e neanche se ne sono accorti,” rispose Sartes con il sorriso ancora del tutto intatto.

Ceres si arrabbiГІ e si preparГІ a confiscargli la moneta per gettarla. Quello era denaro insanguinato del resto. Non avevano bisogno di niente dalla gente ricca.

Mentre si allungava per afferrarla, improvvisamente una donna apparve davanti a loro e bloccГІ loro la strada.

“Tu!” disse indicando Ceres con voce così alta da sentirsela riverberare addosso.

La donna aveva il viso liscio, quasi etereo, e le sue labbra perfette erano tinte di verde. C’erano ghiande e foglie a decorarle i lunghi e folti capelli neri. Gli occhi castani erano in sintonia con il lungo abito dello stesso colore.  Era bellissima da guardare, pensò Ceres, tanto che se ne sentì per un momento ipnotizzata.

Ceres la guardГІ stupita, certa di non averla mai incontrata prima.

“Come fai a conoscermi?”

Fissò gli occhi in quelli della donna mentre questa faceva un paio di passi e si portava davanti a lei. Ceres sentì che aveva addosso un forte profumo di mirto.

“Vena delle stelle,” disse con voce misteriosa.

Quando la donna sollevò il braccio con un gesto aggraziato, Ceres vide che aveva una triquetra tatuata all’interno del polso. Una strega. A dire dal profumo degli dei, forse una chiromante.

La donna prese i capelli dorati di Ceres e li annusГІ.

“La spada non ti è sconosciuta,” disse. “Il trono non ti è sconosciuto. Il tuo destino è grandioso in effetti. Il cambiamento sarà potente.”

La donna improvvisamente si girò e se ne andò velocemente, scomparendo dietro alla bancarella, e Ceres rimase ferma e confusa. Sentì le parole della donna penetrarle nell’anima. Sentiva che si era trattato di ben più che un’osservazione: erano una profezia. Potere. Cambiamento. Trono. Destino. Erano parole che lei mai aveva associato con se stessa prima d’ora.

Potevano essere vere? O erano solo le parole di una pazza?

Ceres guardò avanti e vide che Sartes teneva il cesto pieno di cibo, la bocca già piena non solo di pane. Gliela porse. Vide il cibo cotto al forno, la frutta, la verdura, e questo bastò a spezzare la sua determinazione. Normalmente l’avrebbe divorato.

Ma ora, per qualche motivo, aveva perso l’appetito.

C’era un futuro davanti a lei.

Una destino.


*

La passeggiata fino a casa era durata quasi un’ora più del solito e per tutto il tragitto erano rimasti in silenzio, tutti persi nei loro pensieri. Ceres poteva solo chiedersi cosa pensassero di lei le persone cui voleva più bene al mondo. Sapeva a malapena cosa pensare lei stessa.

Alzò lo sguardo e vide la sua umile casa e fu sorpresa di avercela fatta fino a lì, dato il dolore persistente alla schiena e alla testa.

Gli altri si erano separate da lei un po’ di tempo prima per fare una commissione per loro padre, e Ceres attraversò da sola la cigolante porta, riparandosi e sperando di non imbattersi in sua madre.

Entrò in un bagno di calore. Si diresse verso una piccola fiala di alcool che veniva usato per pulire e che sua madre conservava sotto al suo letto. La stappò, attenta a non usarne tanto, così che non se ne accorgesse. Preparandosi al bruciore, allargò la camicia e se lo versò sulla schiena.

Ceres gridò di dolore, stringendo il pugno e appoggiando la testa al muro, sentendo migliaia di aghi dove l’omnigatto l’aveva graffiata. Sembrava una ferita impossibile da guarire.

La porta si aprì di schianto e Ceres rabbrividì. Fu sollevata di vedere che era solo Sartes.

“Nostro padre ha bisogno di vederti,” le disse.

Ceres notГІ che aveva gli occhi leggermente arrossati.

“Come va il braccio?” gli chiese, pensando che stesse piangendo per il dolore.

“Non è rotto. Solo slogato.” Fece un passo avanti e il suo volto divenne serio. “Grazie per avermi salvato oggi.”

Lei gli sorrise. “Come avrei potuto trovarmi da un’altra parte?” gli chiese.

Lui ricambiГІ il sorriso.

“Vai da nostro padre adesso,” le disse. “Io brucio il vestito e la stoffa.”

Non sapeva come avrebbe potuto spiegare a sua madre che i suoi abiti erano improvvisamente spariti, ma quella roba andava assolutamente bruciata. Se su madre l’avesse vista in quelle condizioni – insanguinata e piena di buchi – non ci sarebbe stato verso di spiegare quanto severa sarebbe stata la punizione.

Ceres uscì e percorse il sentiero di erba calpestata che portava al capanno dietro alla casa. C’era un solo albero nel loro umile campo di terra: gli altri erano andati perduti in un incendio e il resto era stato bruciato nel caminetto per scaldare la casa durante le fredde notti d’inverno. I loro rami erano ora messi sopra alla casa stessa come protezione. Ogni volta che Ceres lo vedeva, le veniva in mente sua nonna che era morta l’anno prima. Era stata lei a piantare l’albero quando Ceres era bambina. In un certo modo era il suo tempio. E lo era anche per suo padre. Quando la vita diventava troppo dura da sopportare, si sdraiavano sotto alle stelle e aprivano il loro cuore a Nana come se fosse ancora viva.

Ceres entrò nel capanno e salutò suo padre con un sorriso. Con sua sorpresa notò che la maggior parte dei suoi attrezzi era stata tolta dal tavolo di lavoro e che non c’erano spade in attesa di essere lavorate vicino al caminetto. Non poteva neanche ricordare di aver mai visto il pavimento così pulito e spazzato, o le pareti e il soffitto così spoglie.

Gli occhi azzurri di suo padre si accesero come sempre accadeva quando la vedeva.

“Ceres,” disse alzandosi in piedi.

In quell’ultimo anno i suoi capelli si erano parecchio ingrigiti, come anche la barba corta, e le borse sotto ai suoi amorevoli occhi erano raddoppiate. In passato era stato alto e muscoloso quasi quanto Nesos, ma recentemente Ceres aveva notato che aveva perso peso e la sua postura precedentemente così perfetta si stava incurvando.

Le andГІ incontro alla porta e le mise una mano callosa sulla schiena.

“Facciamo una passeggiata.”

Il petto le si irrigidì un poco. Quando voleva parlare e camminare, significava che stava per condividere qualcosa di importante.

Fianco a fianco si portarono dietro al capanno, in un piccolo campo. Nuvole nere incombevano poco lontano, soffiando folate di vento caldo e instabile. Sperava che avrebbero portato la pioggia necessaria per riprendersi da quella siccitГ  apparentemente infinita. Ma forse non avrebbero che alimentato, come sempre, solo la vana speranza di un acquazzone.

Il terreno scricchiolava sotto ai suoi piedi mentre camminava, il suolo secco, le piante gialle, marroni e rinsecchite. Quell’appezzamento di terra dietro alla loro recinzione apparteneva a re Claudio, ma non veniva seminato da anni.

Arrivarono in cima a una collina e si fermarono a guardare il campo. Suo padre rimase in silenzio con le mani intrecciate dietro alla schiena, guardando il cielo. Non era da lui e il timore di Ceres si fece piГ№ fitto.

Poi parlГІ e parve che selezionasse con cura le parole.

“A volte non abbiamo il lusso di poter scegliere la nostra strada,” le disse. “Dobbiamo sacrificare tutto ciò che vogliamo per i nostri cari. Anche noi stessi se necessario.”

SospirГІ e nel lungo silenzio interrotto solo dal vento, il cuore di Ceres batteva mentre lei si chiedeva dove sarebbe andato a parare.

“Cosa non darei per tenere stretta la tua infanzia per sempre,” aggiunse scrutando il cielo, il volto contorto in una smorfia di dolore prima di rilassarsi di nuovo.

“Cosa c’è che non va?” chiese Ceres mettendogli una mano sul braccio.

“Devo andarmene per un po’,” le rispose.

Le parve di non riuscire a respirare.

“Andartene?”

Lui si girГІ e la guardГІ negli occhi.

“Come ben sai l’inverno e la primavera sono stati piuttosto duri quest’anno. Gli ultimi anni di siccità sono stati difficili. Non abbiamo fatto abbastanza soldi per poter passare il prossimo inverno e se non vado la nostra famiglia morirà di fame. Ho ricevuto una commissione da un altro re che mi vuole come mastro fabbro. Guadagnerò bene.”

“Mi porterai con te, vero?” disse Ceres con tono di voce ansioso.

Lui scosse la testa mestamente.

“Devi stare qui ad aiutare tua madre e i tuoi fratelli.”

Il pensiero le fece scorrere nel corpo un’ondata di terrore.

“Non puoi lasciarmi qui con mia madre,” gli disse. “Non lo faresti mai.”

“Le ho parlato e si prenderà cura di te. Sarà gentile.”

Ceres battГ© il piede a terra e fece sollevare la polvere.

“No!”

Le scesero le lacrime dagli occhi, scorrendo lungo le guance.

Lui fece un piccolo passo verso di lei.

“Ascoltami attentamente, Ceres. Qui servono ancora spade di tanto in tanto. Ho messo una buona parola per te e se farai le spade nel modo che ti ho insegnato, potresti addirittura guadagnarti un po’ di soldi per te.”

Farsi un po’ di soldi le avrebbe magari permesso di avere più libertà. Aveva visto che le sue mani piccole e delicate erano diventate abili nell’intagliare gli intricati modelli e le iscrizioni sulle lame e sulle impugnature. Le mani di suo padre erano larghe, le dita grosse e tozze. Pochi altri avevano l’abilità che possedeva lei.

Ma anche con questo pensiero, scosse la testa.

“Non voglio diventare un fabbro,” disse.

“Ti scorre nelle vene, Ceres. E hai un dono per questo.”

Lei scosse la testa, ostinata.

“Voglio brandire armi,” disse, “non farle.”

Non appena le parole le furono uscite di bocca, si pentì di averle pronunciate.

Suo padre corrugГІ la fronte.

“Desideri essere una guerriera? Una combattente?”

Scosse la testa.

“Un giorno sarà permesso anche alle donne combattere,” disse lei. “Sai che ho fatto pratica.”

Gli occhi gli si piegarono in un’espressione preoccupata.

“No,” le ordinò con fermezza. “Non è questa la tua strada.”

Ceres si sentì sprofondare il cuore mentre le sue speranze e i suoi sogni di diventare una guerriera si dissipavano davanti a quelle parole. Sapeva che non intendeva essere crudele con lei, non lo era mai stato. Era la semplice realtà dei fatti. E per consentire a tutta la famiglia di sopravvivere, anche lei avrebbe dovuto sacrificare la sua parte.

Guardò in lontananza nel cielo illuminato da alcuni lampi. Tre secondi dopo si sentì un tuono.

Non si era accorta di quanto misere fossero le loro condizioni? Aveva sempre dato per scontato che avrebbero attraversato ogni difficoltГ  come famiglia, ma questo cambiava ogni cosa. Ora non avrebbe avuto suo padre con lei e non ci sarebbe stato nessuno a proteggerla da sua madre.

Una lacrima dopo l’altra scesero fino al suolo mentre Ceres restava immobile dove si trovava. Avrebbe dovuto rinunciare ai suoi sogni e seguire il consiglio di suo padre?

Lui tirò fuori qualcosa da dietro la schiena e gli occhi di Ceres si spalancarono quando vide che aveva in mano una spada. Si fece vicino a lei permettendole di vedere l’arma nel dettaglio.

Era meravigliosa. L’elsa era in puro oro, intagliata con l’immagine di un serpente. La lama aveva due parti affilate e sembrava fabbricata con il migliore acciaio. Per quanto la fattura fosse sconosciuta a Ceres, poté dire da subito che era della migliore qualità. Sulla lama stessa si trovava un’iscrizione.


Quando cuore e spada si incontrano, c’è vittoria

Ceres sussultГІ, guardandola con ammirazione.

“L’hai fatta tu?” chiese con gli occhi incollati alla spada.

Lui annuì.

“Nella maniera della gente del nord,” rispose. “Ci ho lavorato per tre anni. A dire il vero, solo la lama potrebbe dare da mangiare a tutta la nostra famiglia per un anno intero.”

Lei lo guardГІ.

“E allora perché non venderla?”

Lui scosse la testa con fermezza.

“Non è stata fatta per questo.”

Le si fece piГ№ vicino e con sua sorpresa gliela tese.

“L’ho fatta per te.”

Ceres si portГІ una mano alla bocca mentre lui le teneva la spada davanti.

“Per me?” chiese stupefatta.

Lui sorrise amorevolmente.

“Avevi davvero pensato che mi fossi dimenticato il tuo diciottesimo compleanno?” le rispose.

Ceres sentì che gli occhi le si riempivano le lacrime. Non si era mai sentita così commossa.

Ma poi pensГІ a ciГІ che aveva detto prima, che non voleva che lei combattesse e si sentiva confusa.

“Però,” gli rispose, “hai detto che non devo allenarmi.”

“Non voglio che tu muoia,” le spiegò. “Ma capisco dov’è il tuo cuore. E quello non posso controllarlo.”

Le mise una mano sotto al mento e le sollevГІ la testa per guardarla negli occhi.

“Sono fiera di te per questo.”

Le porse la spada e quando Ceres sentì il freddo metallo contro il palmo, divenne tutt’uno con essa. Il peso era perfetto per lei e l’elsa sembrava fatta apposta per la sua mano.

Tutte le speranze che erano morte poco prima le vennero risvegliate nel petto.

“Non dirlo a tua madre,” la avvisò. “Nascondila dove lei non possa trovarla, altrimenti la venderà.”

Ceres annuì.

“Per quanto starai via?”

“Cercherò di venire a trovarvi prima che nevichi.”

“Ma sarà fra mesi!” disse lei facendo un passo indietro.

“È quello che devo fare…”

“No. Vendi la spada. Resta!”

Lui le mise una mano sulla guancia.

“Vendere questa spada potrebbe anche aiutarci per questa stagione. E forse per la prossima. E poi?” Scosse la testa. “No, abbiamo bisogno di una soluzione a lungo termine.”

Lungo termine? Improvvisamente Ceres capì che quel nuovo lavoro non sarebbe stato solo per pochi mesi. Poteva trattarsi di anni.

Si sentì ancora più abbattuta.

Lui fece un passo avanti e la abbracciГІ.

Ceres si mise a piangere tra le sue braccia.

“Mi mancherai, Ceres,” le disse tenendola appoggiata contro la sua spalla. “Tu sei diversa da tutti gli altri. Ogni giorno guarderò il cielo e saprò che tu sei sotto alle stesse stelle. Farai lo stesso anche tu?”

Inizialmente avrebbe volute gridargli contro, dirgli: come osi lasciarmi qui da sola.

Ma sentiva nel cuore che lui non poteva restare, e non voleva rendere le cose ancora piГ№ difficili di quanto giГ  non fossero.

Una lacrima le scorse lungo il viso. Lei tirò su col naso e annuì con un cenno del capo.

“Mi metterò ogni notte sotto al nostro albero,” disse.

Lui la baciГІ sulla fronte e la strinse teneramente. Le ferite che aveva sulla schiena erano come coltelli, ma lei strinse i denti e rimase in silenzio.

“Ti voglio bene, Ceres.”

Ceres avrebbe voluto rispondere, ma non riuscì a dire nulla, aveva le parole incastrate in gola.

Lui prese il cavallo dalla posta e lei lo aiutò a caricare il cibo, gli attrezzi e le provviste. Suo padre la abbracciò un’ultima volta e lei pensò che il petto potesse esploderle per la tristezza. Lo stesso non riuscì a pronunciare una singola parola.

Lui montò a cavallo e fece un cenno della testa prima di far partire l’animale.

Ceres lo salutò con la mano mentre si allontanava e lo guardò con estrema attenzione fino a che svanì dietro alla collina lontana. L’unico vero amore che mai avesse conosciuto veniva da quell’uomo. E ora lui se n’era andato.

IniziГІ a piovere, gocciolandole sulla faccia.

“Padre!” gridò più forte che poté. “Padre, ti voglio bene!”

Cadde in ginocchio e nascose il volto tra le mani, singhiozzando.

Sapeva che la vita non sarebbe piГ№ stata la stessa.




CAPITOLO TRE


Con i piedi doloranti e i polmoni che bruciavano, Ceres risaliva la ripida collina più velocemente che poteva senza versare una goccia d’acqua dai secchi che teneva ai fianchi. Normalmente si sarebbe fermata per una pausa, ma sua madre l’aveva minacciata di non darle la colazione se non fosse tornata prima dell’alba. E niente colazione significava che non avrebbe mangiato fino a cena. Ad ogni modo non si curava del dolore: quello almeno le permetteva di tenere fuori dalla testa il pensiero di suo padre e del nuovo miserabile stato delle cose da quando se n’era andato.

Il sole stava proprio facendo capolino da dietro il monte Alva in lontananza, dipingendo le nuvole sparpagliate di oro e rosa, mentre un vento debole soffiava appena attraverso l’erba alta e gialla che cresceva da entrambe le parti della strada. Ceres inspirò la fresca aria del mattino con il naso e si spinse ad andare più veloce. Sua madre non avrebbe accettato la scusa che il solito pozzo era prosciugato o che c’era una lunga fila all’altro che si trovava a quasi due chilometri da lì. Non si fermò fino a che non raggiunse la cima della collina, e arrivata lì si immobilizzò, stupita da ciò che si trovò davanti.

Lì in lontananza c’era la sua casa e davanti ad essa si era fermato un carro color bronzo. Sua madre si trovava davanti allo stesso e parlava con un uomo che era così sovrappeso che Ceres pensò di non aver mai visto nessuno che arrivasse neppure alla metà della sua stazza. Indossava una tunica di lino bordeaux e un cappello di seta rossa. La barba era lunga, arruffata e grigia. Strizzò gli occhi cercando di capire. Era un mercante?

Sua madre aveva indosso il suo abito migliore, una veste di lino verde che arrivava fino a terra e che aveva comprato anni prima con i soldi che si sarebbero dovuti usare per le scarpe nuove di Ceres. Non aveva senso.

Con esitazione Ceres iniziò a scendere la collina. Teneva gli occhi fissi sull’uomo e quando vide che quello porgeva a sua madre un pesante borsello di pelle e notò il volto emaciato della donna illuminarsi, si fece ancora più curiosa. La loro sfortuna era mutata? Suo padre sarebbe potuto tornare a casa? Quel pensiero le alleggerì di un poco il petto, ma non si concesse di provare alcuna eccitazione fino a che non avesse appreso i dettagli della faccenda.

Quando Ceres fu più vicina alla casa, sua madre si voltò verso di lei e le sorrise calorosamente. Immediatamente Ceres sentì un nodo di preoccupazione allo stomaco. L’ultima volta che sua madre le aveva sorriso in quel modo – i denti brillanti e gli occhi luminosi – le era arrivata una frustata.

“Cara figliola,” le disse con tono eccessivamente dolce, aprendo le braccia verso di lei con un sorriso che le fece gelare il sangue.

“Questa è la ragazza?” chiese l’uomo con sorriso bramoso, gli occhi luccicanti e neri che si spalancavano guardando Ceres.

Ora che era vicina, Ceres poteva vedere ogni singola ruga sulla pelle di quell’obeso. Il suo naso largo e piatto sembrava occupargli tutta la faccia e quando si tolse il cappello la sua testa calva e sudata brillò alla luce del sole.

La madre quasi danzò raggiungendo Ceres, le prese i secchi di mano e li appoggiò sull’erba riarsa. Solo quel gesto confermò a Ceres che c’era qualcosa che veramente non andava. Iniziò a sentire una sensazione di panico crescerle dentro.

“Ecco il mio orgoglio e la mia gioia, la mia unica figlia Ceres,” disse sua madre fingendo di asciugarsi una lacrima da un occhio anche se non ce n’era nessuna. “Ceres, questo è Lord Blaku. Ti prego di portare rispetto per il tuo nuovo padrone.”

Uno scatto di paura pugnalГІ Ceres al petto. Fece un improvviso respiro. GuardГІ sua madre e dando le spalle a Lord Blaku la donna le sorrise in modo estremamente malvagio.

“Padrone?” chiese Ceres.

“Per salvare la nostra famiglia dalla rovina finanziaria e dall’imbarazzo pubblico, il benevolo Lord Blaku ha offerto a tuo padre e a me un generoso accordo: un sacco d’oro in cambio di te.”

“Cosa?” sussultò Ceres, sentendosi sprofondare in terra.

“Ora fai la brava ragazza che tutti conosciamo e mostra rispetto,” le disse lanciandole un’occhiata di avvertimento.

“No,” disse Ceres facendo un passo indietro e spingendo il petto in fuori, sentendosi stupida per non aver immediatamente capito che quell’uomo era un mercante di schiavi e che la transazione riguardava la sua vita.

“Mio padre non mi venderebbe mai,” aggiunse a denti stretti, con crescente orrore e indignazione.

Sua madre si accigliГІ e le afferrГІ un braccio affondandole le unghie nella pelle.

“Se ti comporti bene quest’uomo potrebbe prenderti come moglie, il che è una cosa molto fortunata,” mormorò.

Lord Blaku si leccГІ le labbra sottili e screpolate mentre i suoi occhi gonfi scorrevano avidamente lungo il corpo di Ceres. Come poteva sua madre farle una cosa del genere? Sapeva che non le voleva tanto bene quanto ai fratelli, ma proprio questo?

“Marita,” disse l’uomo con voce nasale, “mi hai detto che tua figlia era bella, ma non mi aveva detto che era una creatura così meravigliosa. Oserei dire di non aver mai visto una donna con labbra succulente come le sue, con occhi così pieni di passione e con un corpo così perfetto e delizioso.”

La madre di Ceres si mise una mano sul cuore facendo un sospiro e Ceres ebbe l’impressione di poter vomitare in quel preciso istante. Strinse i pugni e strappò il braccio dalla presa di sua madre.

“Forse avrei dovuto chiedere di più, se le piace così tanto,” disse la madre di Ceres abbassando gli occhi avvilita. “Dopotutto è la nostra unica e adorata figlia.”

“Sono intenzionato a pagare bene per questa bellezza. Sono sufficienti altri cinque pezzi d’oro?” chiese l’uomo.

“Molto generoso da parte vostra,” rispose la donna.

Lord Blaku si diresse verso il carro per prendere altro oro.

“Mio padre non sarebbe mai d’accordo con questo,” sibilò Ceres.

Sua madre fece un passo minaccioso verso di lei.

“Oh, ma è stata un’idea di tuo padre,” disse lei di scatto, con le sopracciglia sollevate a metà della fronte. Ceres sapeva che adesso stava mentendo. Ogni volta che faceva quell’espressione stava mentendo.

“Pensi davvero che tuo padre ami te più di quanto ami me?” le chiese.

Ceres sbattГ© le palpebre, chiedendosi cosa questo avesse a che fare con quel discorso.

“Non potrei mai amare una che pensa di essere meglio di me,” aggiunse.

“Non mi hai mai voluto bene?” chiese Ceres con la rabbia che mutava in scoraggiamento.

Con l’oro in mano Lord Blaku si portò davanti alla madre di Ceres e glielo porse.

“Tua figlia vale ogni singolo pezzo,” disse. “Sarà una brava moglie e mi darà molti figli.”

Ceres si morse l’interno del labbro e scosse più volte la testa.

“Lord Blaku verrà a prenderti in mattinata, quindi va’ dentro e prepara le tue cose,” disse la madre di Ceres.

“No!” gridò Ceres.

“È sempre stato questo il tuo problema, ragazza mia. Pensi sempre e solo a te stessa. Quest’oro,” disse sua madre facendole tintinnare il borsello davanti al viso, “terrà in vita i tuoi fratelli. Terrà integra la nostra famiglia, permettendoci di restare nella nostra casa e rimetterla in sesto. Non ci hai pensato?”

Per una frazione di secondo Ceres pensГІ che forse si stava comportando da egoista, ma poi si rese conto che sua madre stava giocando con la sua mente, usando il suo affetto per il suoi fratelli contro di lei.

“Non si preoccupi,” disse la donna girandosi verso Lord Blaku. “Ceres acconsentirà. Dovete solo essere fermo e deciso con lei, e diventerà docile come un agnellino.”

Mai. Mai sarebbe stata la moglie né tantomeno la proprietà di quell’uomo. E mai avrebbe permesso a sua madre di scambiare la sua vita per cinquantacinque pezzi d’oro.

“Non andrò mai con questo schiavista,” disse seccamente Ceres, lanciandogli un’occhiata di disgusto.

“Figlia ingrata!” gridò sua madre. “Se non farai come ti dico, ti picchierò così forte che non potrai più camminare. E adesso entra!”

Il pensiero di essere picchiata da sua madre le riportò ricordi orribili e cruenti: venne riportata dalla memoria al terribile momento di quando aveva cinque anni e sua madre l’aveva picchiata fino a farle perdere i sensi. Le ferite per quelle botte e per molte altre in seguito erano guarite, ma le ferite nel cuore di Ceres non avevano mai smesso di sanguinare. E ora che sapeva per certo che sua madre non le voleva bene, e che mai gliene aveva voluto, il suo cuore si era frantumato una volta per tutte.

Prima di poter rispondere, la madre di Ceres fece un passo avanti e le diede uno schiaffo in viso così forte da farlo risuonare nelle orecchie.

All’inizio Ceres fu sbalordita dall’assalto di sua madre e quasi arretrò. Ma poi qualcosa scattò dentro di lei. Non si sarebbe permessa di tirarsi indietro come aveva sempre fatto.

Ceres colpì sua madre sulla guancia, così forte da farla andare in terra sussultando per l’orrore.

Rossa in viso la donna si rimise in piedi, afferrГІ Ceres per le spalle e per i capelli e le diede una ginocchiata nello stomaco. Quando Ceres si piegГІ in avanti per il dolore, sua madre le piantГІ un ginocchio in faccia, facendola cadere a terra.

Il mercante di schiavi stava in piedi a guardare con gli occhi sgranati, chiaramente deliziato dalla lotta.

Ancora tossendo e ansimando per il primo assalto, Ceres si tirГІ in piedi. Gridando si gettГІ verso sua madre spingendola al suolo.

Tutto questo finirГ  oggi, fu tutto ciГІ che potГ© pensare. Tutti gli anni che non era stata amata e che era stata trattata con sdegno alimentavano la sua rabbia. Ceres prese sua madre a pugni piГ№ e piГ№ volte mentre lacrime di furia le scendevano dagli occhi e singhiozzi incontrollati le uscivano dalle labbra.

Alla fine la donna si accasciГІ.

Le spalle di Ceres si scuotevano a ogni gemito e aveva lo stomaco aggrovigliato. Con la vista annebbiata dalle lacrime, sollevГІ lo sguardo verso lo schiavista con odio ancora piГ№ intenso.

“Sarai veramente perfetta,” disse Lord Blaku con un sorriso mentre sollevava la borsa d’oro da terra e se la legava alla cintura di pelle.

Prima che Ceres potesse reagire, le sue mani le erano già addosso. La afferrò e la mise sul carro, spingendola dentro con una mossa rapida, come se fosse un sacco di patate. La sua stazza massiccia e la sua forza erano troppo per permetterle di opporre resistenza. Tenendole i polsi con una mano e l’estremità di una catena con l’altra, disse: “Non sono tanto stupido da pensare che domani mattina sarai ancora qui.”

Lei guardГІ la casa che era stata sua per diciotto anni e i suoi occhi si riempirono di lacrime al pensiero dei suoi fratelli e di suo padre. Ma doveva prendere una decisione se voleva salvarsi, prima che la catena le finisse attorno alla caviglia.

Quindi con una rapida mossa raccolse tutta la sua forza e strappò il braccio dalla presa dell’uomo, sollevò una gamba e gli diede un calcio in faccia più forte che poté. Lui cadde indietro giù dal carro ed atterrò al suolo.

Ceres saltГІ dal carro e corse piГ№ veloce che potГ© lungo la strada terrosa, lontano dalla donna che aveva giurato di non chiamare mai piГ№ madre, lontano da tutto ciГІ che aveva sempre conosciuto e amato.




CAPITOLO QUATTRO


Circondato dalla famiglia reale, Tano si sforzava di mantenere un’espressione positiva in volto mentre stringeva in mano il calice dorato pieno di vino, ma gli era difficile. Odiava stare lì. Odiava quella gente, la sua famiglia. E odiava partecipare agli incontri di corte, soprattutto quelli che facevano seguito alle Uccisioni.  Sapeva come viveva la gente, quanto erano poveri, e trovava insensato e ingiusto tutto quel fasto e quella superbia. Avrebbe dato qualsiasi cosa per stare lontano da lì.

Tano stava lì insieme ai suoi cugini Lucio, Aria e Vario, ma non faceva il minimo sforzo per prendere parte alle loro futili conversazioni. Guardava invece gli ospiti di corte che si aggiravano nei giardini del palazzo con addosso le loro toghe e le stole, mostrando sorrisi finti e comportandosi con falso garbo. Alcuni dei suoi cugini si stavano gettando addosso pezzetti di cibo mentre correvano sui prati ben rasati e in mezzo alle tavole piene di cibo e vino. Altri stavano ricostruendo le loro scene preferite delle Uccisioni, ridendo e deridendo coloro che avevano perso la loro vita quel giorno.

Tano pensava che tra quelle centinaia di persone non ci fosse nessuno di onorabile.

“Il prossimo mese comprerò questi tre combattenti,” disse Lucio, il più grande, con tono da sbruffone asciugandosi gocce di sudore dalla fronte con un fazzolettino di seta. “Stefano non valeva la metà di quello che l’ho pagato, e se non fosse già morto, lo avrei trafitto io stesso con una spada per aver combattuto come una ragazzina nel primo round.”

Aria e Vario risero, ma Tano non trovava divertente il suo commento. Che considerassero le Uccisioni un gioco o meno, avrebbero dovuto rispettare il coraggioso e il morto.

“Beh, avete visto Brennius?” chiese Aria sgranando i grossi occhi blu. “A dire il vero avevo considerato di comprarlo, ma mi ha lanciato quello sguardo presuntuoso quando l’ho guardato allenarsi. Ci credereste?” aggiunse facendo ruotare gli occhi e sbuffando.

“E puzza come una moffetta,” aggiunse Lucio.

Tutti risero di nuovo, eccetto Tano.

“Nessuno di noi l’avrebbe scelto,” disse Vario. “Anche se è durato più a lungo di quanto mi sarei aspettato, aveva una forma orribile.”

Tano non poteva stare in silenzio un secondo di piГ№.

“Brennius era il combattente con la forma migliore in tutta l’arena,” disse. “Non parlate dell’arte di combattere se non ne sapete niente.”

I cugini fecero silenzio e gli occhi di aria si allargarono come dischi mentre abbassava lo sguardo a terra. Vario spinse il petto in fuori e incrociò le braccia, accigliandosi. Si fece più vicino a Tano, come a volerlo sfidare, e nell’aria si sentì una palpabile tensione.

“Bene, lasciamo perdere quegli insignificanti combattenti,” disse Aria mettendosi tra loro due nel tentativo di sdrammatizzare. Fece segno ai ragazzi di farsi più vicini e poi sussurrò: “Ho sentito un pettegolezzo bizzarro. Un uccellino mi ha detto che il re vuole avere qualcuno di sangue reale a competere nelle Uccisioni.”

Tutti si scambiarono uno sguardo inquieto e fecero silenzio.

“Può anche essere,” disse Lucio. “Ma non sarò io. Non ho intenzione di mettere a rischio la mia vita per uno stupido gioco.”

Tano sapeva di poter sconfiggere la maggior parte di combattenti, ma uccidere un essere umano non era qualcosa che desiderasse.

“Hai solo paura di morire,” disse Aria.

“Non è vero,” ribatté Lucio. “Ritira quello che hai detto!”

Tano aveva finito la pazienza. Se ne andГІ.

Vide un’altra cugina, Stefania, che se ne andava in giro come se stesse cercando qualcuno, forse proprio lui. Qualche settimana prima la regina aveva detto che lui era predestinato a sposare Stefania, ma Tano aveva sentimenti diversi. Stefania era viziata come il resto dei suoi cugini e avrebbe preferito rinunciare al proprio nome e alla propria eredità, anche alla spada, piuttosto che sposarla. Era decisamente bella, vero – capelli dorati, pelle bianca come il latte, labbra rosso sangue – ma se doveva ascoltarla continuamente parlare di quanto la vita fosse ingiusta, si sarebbe piuttosto tagliato via le orecchie.

Si portò di soppiatto verso i margini del giardino, in direzione dei cespugli di rose, evitando di incrociare lo sguardo di qualsiasi invitato. Ma appena svoltato l’angolo, Stefania gli si parò davanti, gli occhi castani illuminati.

“Buonasera, Tano,” disse con un sorriso abbagliante che avrebbe fatto cadere in brodo di giuggiole la maggior parte dei ragazzi lì presenti. Tutti eccetto Tano.

“Buonasera anche a te,” disse Tano scansandola e continuando a camminare.

Lei sollevò la stola e lo seguì come una fastidiosa zanzara.

“Non trovi come sia ingiusto che…” iniziò.

“Ho da fare,” la interruppe Tano con tono più rude di quanto volesse, facendola sussultare. Poi si girò verso di lei. “Scusa… sono solo stanco dopo tutte queste feste.”

“Magari ti andrebbe di fare una passeggiata con me?” chiese Stefania inarcando le sopracciglia mentre si faceva più vicina.

Quella era proprio l’ultima cosa che lui desiderasse.

“Senti,” disse, “so che la regina e tua madre si sono messe in testa che noi in qualche modo potremmo stare insieme, ma…”

“Tano!” udì chiamare dietro di sé.

Tano si girГІ e vide un messaggero del re.

“Il re vorrebbe che lo raggiungessi al gazebo lì davanti,” disse. “E anche voi, mia signora.”

“Posso chiedere perché?” chiese Tano.

“C’è molto di cui parlare,” disse il messaggero.

Non avendo avuto delle conversazioni regolari con il re in passato, Tano si chiese cosa potesse significare.

“Certamente,” disse Tano.

Con suo grande disappunto una raggiante Stefania lo prese sottobraccio e insieme seguirono il messaggero fino al gazebo.

Quando Tano notò diversi consiglieri del re e anche un principe già seduti sulle panche e sulle sedie, trovò strano che avesse invitato anche lui. Avrebbe avuto a fatica qualcosa di valido da offrire alla loro conversazione, dato che la sua opinione su come veniva governato l’Impero era fortemente diversa da quella dei presenti. La miglior cosa da fare, pensò tra sé e sé, sarebbe stata di tenere la bocca chiusa.

“Che coppia amorevole siete,” disse la regina con un caldo sorriso quando arrivarono.

Tano strinse le labbra e offrì a Stefania un posto per sedersi accanto a lui.

Quando tutti si furono sistemati, il re si alzò in piedi e il gruppo fece silenzio. Suo zio indossava una toga lunga fino al ginocchio, ma se le altre erano bianche, rosse e blu, la sua era viola, un colore riservato solo ai re. Attorno alle tempie, dove i capelli si stavano facendo sempre più radi, si trovava una ghirlanda dorata. Le sue guance e gli occhi non presentavano un’espressione felice, seppur stesse sorridendo.

“Il popolo si sta facendo irrequieto,” disse con voce greve e lenta. Lentamente osservò i volti con l’autorità di un re. “È giunto il momento di ricordare loro chi è il re e di impostare regole più severe. Da questo giorno in poi raddoppierò le tasse su tutte le proprietà e sul cibo.”

Si levГІ un sorpreso mormorio, seguito da cenni di assenso e approvazione.

“Scelta eccellente, vostra grazia,” disse uno dei consiglieri.

Tano non poteva credere alle sue orecchie. Raddoppiare le tasse per il popolo? Essendosi mescolato con la gente comune, sapeva bene che le tasse richieste erano giГ  ben piГ№ ingenti di quanto la gente potesse permettersi. Aveva visto madri piangere per la perdita dei figli, morti di fame. Proprio il giorno prima aveva offerto del cibo a una bambina senzatetto di quattro anni di cui si poteva vedere sottopelle ogni singolo osso.

Tano dovette distogliere lo sguardo altrimenti avrebbe detto a voce alta che quella era una follia.

“E infine,” disse il re,” da ora in poi, per bilanciare la rivoluzione sotterranea che minaccia di insorgere, il figlio primogenito di ogni famiglia diventerà un servo nell’esercito del re.”

Uno dopo l’altro tutti gli astanti commentarono la decisione del re come giusta e saggia.

Alla fine però Tano sentì che il re si voltava verso di lui.

“Tano,” disse il re, “Sei rimasto in silenzio. Parla!”

Sotto al gazebo calò il silenzio e tutti gli occhi rimasero puntati su di lui. Tano si alzò in piedi. Sapeva di dover parlare, per la bimba emaciata, per le madri addolorate, per tutti coloro che non avevano voce e le cui vite sembravano non contare. Doveva rappresentarli, perché se non l’avesse fatto lui, non l’avrebbe fatto nessuno.

“Regole più dure non sederanno la ribellione,” disse con il cuore che gli martellava in petto. “La renderà solo più vigorosa. Instillare paura nei cittadini e negare loro la liberà non farò altro che costringerli a insorgere contro di noi e ad aggregarsi alla rivoluzione.”

Alcune persone risero, mentre altre parlarono sommessamente tra loro. Stefania gli prese la mano e cercГІ di farlo tacere, ma lui si divincolГІ.

“Un grande re usa l’amore, come anche la paura, per governare i suoi sudditi,” disse Tano.

Il re lanciГІ alla regina uno sguardo inquieto. Si alzГІ e si avvicinГІ a Tano.

“Tano, sei un ragazzo coraggioso per esporre così le tue opinioni,” disse mettendogli una mano sulla spalla. “Comunque, il tuo fratello più giovane non è stato assassinato a sangue freddo da quella stessa gente, da quelli che si autogovernano, come dici tu?”

Tano ci vide rosso. Come osava suo zio portare alla ribalta la morte di suo fratello in modo così poco serio? Per anni Tano era stato morso dal dolore e aveva pianto la perdita del fratello.

“Quelli che hanno ammazzato mio fratello non avevano abbastanza cibo per sé,” disse Tano. “Un uomo disperato cerca soluzioni disperate.”

“Metti in discussione la saggezza del re?” chiese la regina.

Tano non poteva credere che nessuno si opponesse a questo. Non vedevano com’era ingiusto? Non si rendevano conto che quelle nuove leggi avrebbero innescato il fuoco di una ribellione?

“Non per un solo secondo potrai far credere a questa gente che tu non vuoi altro che la loro sofferenza e desideri approfittarti di loro,” disse Tano.

Si levГІ un sussulto di disapprovazione nel mezzo del gruppo.

“Dici parole dure, nipote,” disse il re guardandolo negli occhi. “Mi verrebbe quasi da credere che tu voglia unirti alla ribellione.”

“O magari ne è già parte?” disse la regina inarcando le sopracciglia.

“No,” abbaiò Tano.

L’aria nel gazebo si fece più calda e Tano si rese conto che se non fosse stato attento, sarebbe potuto essere accusato di tradimento, un crimine punibile con la morte senza processo.

Stefania si alzГІ in piedi e gli prese la mano tra le proprie, ma agitato dal suo comportamento lui la strappГІ via di nuovo.

Stefania rimase avvilita e abbassГІ lo sguardo.

“Forse nel tempo vedrai la debolezza delle tue convinzioni,” gli disse il re. “Per ora, il nostro modo di governo proseguirà e verrà immediatamente implementato.”

“Bene,” disse la regina con un improvviso sorriso. “Ora spostiamoci alla seconda questione del nostro programma. Tano, in quanto giovane uomo di diciannove anni, i tuoi sovrani hanno scelto una moglie per te. Abbiamo deciso che tu e Stefania vi sposerete.”

Tano si girò a guardare Stefania, i cui occhi erano luccicanti di lacrime e il cui viso era segnato dalla preoccupazione. Si sentì inorridito. Come potevano chiedergli questo?

“Non posso sposarla,” sussurrò mentre un nodo gli si formava nella pancia.

Tra la folla si levarono i mormorii e la regina saltò in piedi così velocemente che la sedia cadde indietro con un tonfo.

“Tano!” gridò con le mani sui fianchi. “Come osi disobbedire al re! Sposerai Stefania che tu lo voglia o no.”

Tano guardГІ Stefania con occhi tristi vedendo le lacrime che le rigavano il volto.

“Pensi di essere troppo per me?” gli chiese con il labbro inferiore che tremava.

Lui fece un passo verso di lei per confortarla il poco che poteva, ma prima di averla raggiunta, lei corse fuori dal gazebo coprendosi il volto con le mani e piangendo.

Il re si alzГІ in piedi, chiaramente arrabbiato.

“Ripudiala, figliolo,” disse con voce improvvisamente fredda e dura che risuonò sotto al gazebo, “e per te ci sarà la prigione.”




CAPITOLO CINQUE


Ceres corse tra le vie della città fino a sentire che le gambe non avrebbero più retto, fino a che i polmoni le facevano così male da sentirli quasi scoppiare, e fino a che non fu assolutamente certa che il mercante di schiavi non l’avrebbe trovata.

Alla fine cadde a terra in un vicolo secondario in mezzo alla spazzatura e ai ratti, le braccia strette attorno alle gambe e le lacrime che le scorrevano lungo le guance calde. Con suo padre lontano e la madre che voleva venderla, non aveva più nessuno. Se fosse rimasta in quelle strade e avesse dormito lì sarebbe alla fine morta di fame o congelata non appena l’inverno fosse arrivato. Forse sarebbe stata la conclusione migliore.

Per ore rimase seduta a piangere, gli occhi gonfi, la mente confusa per la disperazione. Dove sarebbe andata adesso? Come si sarebbe procurata i soldi per sopravvivere?

Il giorno stava volgendo al termine quando alla fine decise di tornare a casa, sgattaiolare nel capanno, prendere le poche spade che erano rimaste e venderle a palazzo. Ad ogni modo la aspettavano l’indomani. In quel modo avrebbe avuto un po’ di soldi per qualche giorno, almeno fino a che non avesse trovato un piano migliore.

Avrebbe anche preso la spada che suo padre le aveva dato e che teneva nascosta sotto alle assi del pavimento del capanno. Ma quella non l’avrebbe venduta, no. Fino a che non si fosse trovata faccia a faccia con la morte, mai e poi mai avrebbe ceduto il dono di suo padre.

Andò verso casa in una piccola corsa e guardandosi attentamente da ogni volto familiare o dal carro del mercante di schiavi. Quando raggiunse l’ultima collina, si mosse di soppiatto dietro alla fila di case e si portò nel campo camminando in punta di piedi sulla terra arsa, cercando attorno avvisaglie della presenza di sua madre.

Una fitta di senso di colpa le sorse dentro quando ricordò come l’aveva picchiata. Non avrebbe mai voluto farle del male, neanche dopo la crudeltà che le aveva dimostrato. Neanche con il cuore a pezzi e impossibile da medicare.

Arrivando sul retro del capanno, spiò all’interno attraverso una fessura nella parete. Vedendo che era vuoto vi entrò e recuperò le spade. Ma proprio quando stava per sollevare l’asse sotto alla quale aveva nascosto la sua spada, udì delle voci che provenivano dall’esterno.

Si alzò in piedi e diede un’occhiata attraverso un piccolo buco nella parete, e con suo orrore vide sua madre e Sartes che avanzavano verso il capanno. Sua madre aveva un occhio nero e una ferita alla guancia, e a vederla ora viva e vegeta, a Ceres venne da ridere sapendo che era stata lei a ridurla così. Tutta la rabbia sgorgò di nuovo al pensiero di come sua madre aveva pensato di venderla.

“Se ti becco a passare cibo a Ceres, ti prendo a frustate, hai capito?” disse sua madre con tono secco a Sartes mentre passavano vicino all’albero della nonna.

Quando Sartes non rispose, sua madre gli diede una sberla in faccia.

“Hai capito, ragazzo?” gli chiese di nuovo.

“Sì,” disse Sartes abbassando lo sguardo con le lacrime agli occhi.

“E se mai la vedessi, portala a casa in modo che possa darle una passata che mai si dimenticherà.”

Ricominciarono a dirigersi verso il capanno e il cuore di Ceres si ritrovò improvvisamente a martellare selvaggiamente. Afferrò le spade e scattò attraverso la porta sul retro più velocemente e più silenziosamente che poté. Proprio quando fu uscita, la porta sul davanti si aprì e lei si appoggiò al muro esterno restando in ascolto, le ferite provocate dagli artigli dell’omnigatto che ancora bruciavano sulla schiena.

“Chi va là?” disse sua madre.

Ceres trattenne il fiato e serrГІ gli occhi.

“So che sei lì,” disse sua madre aspettando. “Sartes, vai a controllare la porta sul retro. È spalancata.”

Ceres si strinse le spade al petto. Udì i passi di Sartes che venivano verso di lei, quindi lo sentì aprire la porta con un cigolio.

Sartes sgranГІ gli occhi vedendola e sussultГІ.

“C’è qualcuno?” chiese sua madre.

“Ehm… no,” disse Sartes con gli occhi che si riempivano di lacrime guardando in quelli di Ceres.

Ceres disse un muto �grazie’ e Sartes le fece cenno con la mano di andarsene.

Lei annuì e con il cuore pesante se ne andò di soppiatto verso il campo mentre la porta sul retro del capanno veniva sbattuta e chiusa. Sarebbe tornata più tardi a recuperare la sua spada.


*

Ceres si fermò davanti ai cancelli del palazzo, sudata, affamata ed esausta, le spade in mano. I soldati dell’Impero stavano di guardia e la riconobbero subito come la ragazza che consegnava le spade di suo padre, lasciandola passare senza porre domande.

Ceres attraversГІ frettolosamente il cortile interno e svoltГІ verso la bottega in pietra del fabbro, dietro a una delle quattro torri. EntrГІ.

In piedi vicino all’incudine, davanti alla fornace scoppiettante, il fabbro colpiva con il martello una lama incandescente, il grembiule di pelle che lo proteggeva dalle scintille che volavano. L’espressione preoccupata sul suo volto la fece riflettere su cosa ci fosse che non andava. Era un gioviale uomo di mezz’età, raramente preoccupato.

Fu la sua testa calva ad accoglierla prima che lui notasse che era entrata.

“Buon pomeriggio,” le disse vedendola e facendole segno di mettere le spade sul piano di lavoro.

Ceres attraversГІ la stanza calda e fumosa e le posГІ, facendole tintinnare contro la superficie del vecchio tavolo in legno bruciacchiato.

L’uomo scosse la testa, chiaramente impensierito.

“Cosa c’è?” chiese lei.

Il fabbro alzГІ gli occhi pieni di preoccupazione.

“Tra tutti i giorni che aveva per ammalarsi,” mormorò.

“Bartolomeo?” chiese Ceres vedendo che il giovane porta spade dei combattenti non era lì come al solito, in frenetica preparazione delle ultime armi prima degli allenamenti.

Il fabbro smise di martellare e la guardГІ con espressione seccata, aggrottando le folte sopracciglia.

Scosse la testa.

“E tra tutti i giorni di allenamento, tra tutti i giorni,” disse, “non un giorno qualsiasi.” Buttò la lama sui carboni ardenti nella fornace e si asciugò la fronte gocciolante con la manica della tunica. “Oggi i reali si alleneranno insieme ai combattenti. Il re ha scelto dodici membri della famiglia reale che si alleneranno per le Uccisioni. Tre vi parteciperanno.”

Ceres capì la sua preoccupazione. Era sua responsabilità rifornire i porta armi, e se non lo faceva il suo lavoro non era in linea. Centinaia di fabbri sarebbero stati felicissimi di prendere il suo posto.

“Il re non sarà felice con un porta armi di meno,” disse lei.

L’uomo appoggiò le mani sulle grosse gambe e scosse la testa. Proprio in quel momento entrarono due soldati dell’Impero.

“Siamo qui per prendere le armi,” disse uno guardando Ceres accigliato.

Anche se non era vietato, sapeva che era seccato che ci fosse una ragazza che lavorava tra le armi, un settore da uomini. Ma si era abituata ai commenti beffardi e alle occhiate di odio la maggior parte delle volte che aveva fatto consegne a palazzo.

Il fabbro si alzГІ in piedi e andГІ verso tre secchi di legno pieni di armi, tutte pronte per gli incontri.

Trovate qui il resto delle armi che il re ha richiesto per oggi,” disse il fabbro ai soldati.

“E il porta armi?” chiese uno di essi.

Quando il fabbro aprì bocca per parlare, a Ceres venne un’idea.

“Sono io,” disse con il petto gonfio per l’emozione. “Sono la sostituta oggi, fino a che Bartolomeo non tornerà.”

I soldati dell’Impero la guardarono per un momento stupiti.

Ceres strinse le labbra e fece un passo avanti.

“Lavoro con mio padre e con il palazzo da una vita, producendo spade, scudi e ogni genere di arma,” disse.

Non sapeva da dove le venisse quel coraggio, ma si alzГІ in piedi e guardГІ i soldati negli occhi.

“Ceres…” disse il fabbro lanciandole un’occhiata pietosa.

“Mettetemi alla prova, disse rinforzando la propria determinazione e volendo che testassero le sue abilità. “Non c’è nessuno oltre a me che possa prendere il posto di Bartolomeo. E se oggi vi manca un porta armi, il re non potrebbe arrabbiarsi parecchio?”

Non ne era certa, ma immaginava che i soldati dell’Impero e il fabbro avrebbero fatto quasi ogni cosa per fare felice il re. Soprattutto quel giorno.

I soldati dell’Impero guardarono il fabbro e loro ricambiarono lo sguardo. Il fabbro rimase un momento a pensare. Alla fine annuì. Posò una valanga di armi sul tavolo e le fece cenno di andare avanti.

“Allora facci vedere, Ceres,” le disse facendole l’occhiolino. “Conoscendo tuo padre, probabilmente ti ha insegnato qualsiasi cosa.

“E anche di più,” disse Ceres sorridendo dentro.




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